56k d'Etiopia - Mutuo all'africana (non aiutare aiuta)



Difficile parlare d’Africa senza incespicare in luoghi comuni, impossibile riuscire a raccontarla senza ricorrere ad essi. 
Questa terra è povera, sporca e malata. Eppure la sua gente guarda a testa alta ogni giorno e lo affronta con energia e incoscienza. Nel buio della sera, sotto la luce giallastra dei lampioni del centro, potreste sorprendervi davanti alla vitalità con cui i ragazzi di strada inseguono quella sorta di goffe libellule che invade la città prima di ogni pioggia. 
Gli stessi bambini che durante il giorno dormono in strada con pochi stracci addosso o raccattano qualche avanzo dagli hotel per mettere qualcosa sotto i denti. Ma, in fondo, questi sono tra i più fortunati dato che hanno di che coprirsi e riescono ancora a vedere e muoversi liberamente, al contrario di gran parte degli altri. Questo surreale rapporto da tragedia e forza caratterizza da sempre il continente ed è forse il maggiore fattore destabilizzante per chi si trova a vivere questa realtà da Forengi, cioè provenendo dall’Europa o dall’America. 
Quello che fa riflettere è la popolarità a queste latitudini di Obama e del suo “Yes we can”: difficile comprendere fino in fondo cosa renda così speciale questo “slogan” per gli africani, ma di certo non può che strappare un sorriso sarcastico a chi conosce l’attitudine lavorativa locale: propensione all’approssimazione, improvvisazione su tutti i fronti e l’anacronistica sicurezza di poter rattoppare anche le voragini. 
Insomma quel “Yes we can” appare un po’ come un “Si, possiamo farlo (ma a modo nostro)” pronunciato con disinvoltura dalla maggioranza dei lavoratori Etiopi di fronte ad un qualsiasi problema da risolvere. D’altra parte quel “Yes we can” è anche un’ottima sintesi che rappresenta una parte più piccola, ma non meno rilevante, di uomini e donne impegnati ogni giorno nella titanica impresa di cambiare la situazione africana: persone che spendono quasi interamente sé stesse per promuovere educazione e prevenzione, diffondere l’importanza della parità e  inseguire con ogni mezzo possibile libertà e consapevolezza. Grazie al loro lavoro è possibile sperare in un’Africa diversa, grazie al loro impegno quel “Yes we can” potrebbe diventare un “African”

56k d'Etiopia - African

Difficile parlare d’Africa senza incespicare in luoghi comuni, impossibile riuscire a raccontarla senza ricorrere ad essi. 
Questa terra è povera, sporca e malata. Eppure la sua gente guarda a testa alta ogni giorno e lo affronta con energia e incoscienza. Nel buio della sera, sotto la luce giallastra dei lampioni del centro, potreste sorprendervi davanti alla vitalità con cui i ragazzi di strada inseguono quella sorta di goffe libellule che invade la città prima di ogni pioggia. 
Gli stessi bambini che durante il giorno dormono in strada con pochi stracci addosso o raccattano qualche avanzo dagli hotel per mettere qualcosa sotto i denti. Ma, in fondo, questi sono tra i più fortunati dato che hanno di che coprirsi e riescono ancora a vedere e muoversi liberamente, al contrario di gran parte degli altri. Questo surreale rapporto da tragedia e forza caratterizza da sempre il continente ed è forse il maggiore fattore destabilizzante per chi si trova a vivere questa realtà da Forengi, cioè provenendo dall’Europa o dall’America. 
Quello che fa riflettere è la popolarità a queste latitudini di Obama e del suo “Yes we can”: difficile comprendere fino in fondo cosa renda così speciale questo “slogan” per gli africani, ma di certo non può che strappare un sorriso sarcastico a chi conosce l’attitudine lavorativa locale: propensione all’approssimazione, improvvisazione su tutti i fronti e l’anacronistica sicurezza di poter rattoppare anche le voragini. 
Insomma quel “Yes we can” appare un po’ come un “Si, possiamo farlo (ma a modo nostro)” pronunciato con disinvoltura dalla maggioranza dei lavoratori Etiopi di fronte ad un qualsiasi problema da risolvere. D’altra parte quel “Yes we can” è anche un’ottima sintesi che rappresenta una parte più piccola, ma non meno rilevante, di uomini e donne impegnati ogni giorno nella titanica impresa di cambiare la situazione africana: persone che spendono quasi interamente sé stesse per promuovere educazione e prevenzione, diffondere l’importanza della parità e  inseguire con ogni mezzo possibile libertà e consapevolezza. Grazie al loro lavoro è possibile sperare in un’Africa diversa, grazie al loro impegno quel “Yes we can” potrebbe diventare un “African”